mercoledì 19 novembre 2014

Giuseppe Parini



Guido Davico Bonino analizza l`opera dell`abate Giuseppe Parini (Bosisio, Como 1729 - Milano 1799), "primo poeta civile illuminato" della cultura italiana, il quale deve la sua fama al poema satirico Il Giorno, "la più vasta radiografia della decadenza della nobiltà settecentesca".
Nelle diciannove Odi, scritte tra il 1757 e il 1795, il "cittadino e poeta" Parini tratta problemi concreti, d`interesse collettivo, esalta la vita agreste come modello di sanità fisica e morale, esprime con entusiasmo un parere favorevole all`introduzione delle vaccinazioni, segno di progresso igienico e civile, tuona sdegnato contro la tortura, come il Beccaria nel Dei delitti e delle pene.L`attore Umberto Ceriani legge, dalle OdiLa vita rusticaLa salubrità dell`aria e La caduta.

http://www.raiscuola.rai.it/articoli/giuseppe-parini-il-tesoro-della-poesia-italiana/3054/default.aspx


Per chi volesse ulteriormente approfondire la biografia del poeta, si propone questo testo, in cui sono riassunti anche i contenuti della sua maggiore opera.

L'infanzia e gli studi 
Giuseppe Parini nacque in Brianza, a Bosisio (oggi Bosisio Parini, provincia di Lecco), sul lago di Pusiano da Francesco Maria Parino, modesto commerciante di seta, e da Angiola Maria Caspani, sorella del curato di un paese vicino. Quella del poeta era una famiglia di estrazione popolare e numerosa: i genitori, non potendo permettersi di mantenere il figlio agli studi, lo affidarono, a dieci anni, alle cure di una prozia Anna Maria Lattuada che abitava a Milano, dove Giuseppe venne iscritto alle classi inferiori delle Scuole di Sant'Alessandro, o Scuole Arcimbolde, gestite dai padri barnabiti.
Nel 1741 la prozia lasciò in eredità al nipote dodicenne una modesta rendita annua sui beni immobiliari, a condizione che divenisse sacerdote. Il giovane, che era debole di salute e desiderava continuare gli studi, si avviò così al sacerdozio (verrà ordinato nel 1754) e proseguì gli studi senza grande profitto, come risulta dai registri della scuola che nell'anno 1749-1750. Gli scarsi risultati negli studi sono dovuti sia al fatto che, a causa delle difficoltà economiche, il giovane fu costretto a dare lezioni private e a copiare carte per vari studi legali, sia soprattutto ad una sua spiccata insofferenza verso i metodi rigidi e antiquati d'insegnamento.Degli anni trascorsi in quella scuola conservatrice anche se prestigiosa, della quale furono allievi anche Pietro Verri e Cesare Beccaria, gli rimasero più che altro la lettura personale dei classici greco-latini, come Anacreonte, Virgilio, Orazio e quella degli scrittori italiani, Dante, Ariosto, oltre ai poeti del Settecento.

La prima raccolta di poesie 

Terminate le scuole nel 1752, grazie ad una maggiore, anche se modesta, sicurezza economica dovuta alla rendita della prozia (che aveva ottenuto nel 1751 in seguito ad una causa con l'esecutore testamentario, Antonio Rigola), il giovane chierico pubblicò una prima raccolta di rime, dal titolo Alcune poesie di Ripano Eupilino (Ripano è l'anagramma di Parino, Eupili è il nome greco del lago di Pusiano: Parino da Eupili) sotto forma di novantaquattro componimenti di carattere sacro, profano, amoroso, pastorale e satirico, che risentono della sua prima formazione culturale e soprattutto dello spirito bernesco.Da questi versi semplici e non encomiastici, emerge l'immagine di un giovane ancora socialmente e intellettualmente isolato, che non conosce i dibattiti dell'ambiente lombardo ma che è ancora rivolto all'ambito dell'Accademia dell'Arcadia e del classicismo cinquecentesco.
Membro dell'Accademia dei Trasformati e precettore di casa Serbelloni 
Grazie però ad una certa fama acquisita con questa raccolta, il Parini venne accolto nel 1753 nell'Accademia dei Trasformati che si radunava in casa del conte Giuseppe Maria Imbonati ed era formata dal meglio dei rappresentanti della cultura milanese, dove troverà amici e protettori.
Dopo aver compiuto a Lodi gli studi ecclesiastici, il 14 giugno del 1754, fu ordinato sacerdote ma le risorse economiche, troppo scarse per farlo vivere in modo dignitoso, lo costrinsero ad accettare l'aiuto dell'abate Soresi che lo sosterrà nell'entrare al servizio del duca Gabrio Serbelloni come ripetitore del figlio Gian Galeazzo.
Il servizio a casa Serbelloni durò dal 1754 fino al 1762 e, pur non dandogli la sicurezza economica, lo mise a contatto con persone di elevata condizione sociale e di idee aperte, a partire dalla duchessa Vittoria che leggeva Rousseau e Buffon, al padre Soresi che sosteneva con ardore le riforme in campo scolastico, al medico di casa, Giuseppe Cicognini (in seguito direttore della facoltà di medicina di Milano) che sosteneva il dovere morale ad allargare le cure anche a coloro che per pregiudizio avevano mali considerati effetto di colpa.Intanto in casa Serbelloni il Parini osservò la vita della nobiltà in tutti i suoi aspetti ed ebbe modo di assorbire e rielaborare alcune nuove idee che arrivavano dalla Francia di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Condillac e dell'Encyclopédie, che influenzarono gli scritti di questo periodo al quale risalgono, tra gli altri, il Dialogo sopra la nobiltà (1757), le odi La vita rustica (che sarà pubblicata solamente nel 1790 nelle Rime degli arcadi con lo pseudonimo di Darisbo Elidonio), La salubrità dell'aria (1759), che affronta come la precedente l'opposizione città-campagna ma con uno stile completamente nuovo, e La impostura (1761).
Sempre in questo periodo scrisse, per i Trasformati, una polemica letteraria contro i Pregiudizi delle umane lettere (1756) del padre Alessandro Bandiera con il titolo Due lettere intorno al libro intitolato "I pregiudizi delle umane lettere" e nel 1760 una nuova polemica letteraria contro i "Dialoghi della lingua toscana" del padre barnabita Onofrio Branda.
Nell'ottobre del 1762, per aver difeso la figlia del compositore e maestro di musica Giovanni Battista Sammartini che era stata schiaffeggiata dalla duchessa in uno scatto d'ira, fu licenziato e, abbandonata casa Serbelloni, venne presto accolto dagli Imbonati come precettore del giovane Carlo al quale il poeta dedicherà, nel 1764, l'ode L'educazione.
Il poemetto Il Giorno e la protezione di Firmian [modifica]
Nel marzo del 1763, incoraggiato dagli amici del gruppo dell'Accademia e dal conte Firmian, pubblicò, anonimo, presso lo stampatore milanese Agnelli, Il Mattino che ottenne accoglienza favorevole dalla critica e soprattutto dal Baretti che, nel primo numero della rivista La frusta letteraria, uscito il 1º ottobre del 1763, dedicava una critica positiva all'opera.
Nel 1765 uscì, ancora anonimo, il secondo poemetto, Il Mezzogiorno, che ottenne dai critici un giudizio positivo, tranne che da Pietro Verri sul «Caffè».I due poemetti, con la satira della nobiltà decaduta e corrotta richiamarono l'attenzione sul Parini e nel 1766 il ministro Du Tillot lo chiamò per ricoprire la cattedra di eloquenza presso l'Università di Parma, cattedra che egli rifiutò nella speranza di poter ottenere una cattedra a Milano. Nel 1768 la fama acquisita gli procurò la protezione del governo di Maria Teresa che era rappresentato in Lombardia dal conte Carlo Giuseppe di Firmian che, intuendo le sue potenzialità poetiche, lo nominò nel 1768 poeta ufficiale del Regio Ducale Teatro e lo incaricò di adattare per la scena lirica la tragedia Alceste di Ranieri de' Calzabigi.Nello stesso anno il conte gli affidò la direzione della «Gazzetta di Milano», organo ufficiale del governo austriaco, e nel 1769 la cattedra di eloquenza e belle arti presso le Scuole Palatine, cattedra che conservò fino al 1773, con il titolo di "Principi generali di belle lettere applicati alle belle arti", anche quando quelle scuole si trasformarono nel Regio Ginnasio di Brera.
Tra il 1770 e il 1771 Parini scrisse il testo delle opere teatrali l'Amorosa incostanza e l'Iside salvata, in occasione di due cerimonie di corte, e l'opera pastorale Ascanio in Alba per le nozze dell'arciduca Ferdinando d'Austria con Maria Beatrice d'Este, che verrà successivamente musicata da Mozart, catalogata come opera K 111 e rappresentata per la prima volta al Ducale di Milano il 17 ottobre 1771.Tradusse dal francese la tragedia "Mitridate re del Ponto" (Mithridate nell'originale) di Racine, che Mozart aveva musicato precedentemente - sulla base del libretto ricavato da Vittorio Amedeo Cigna-Santi - ricavandone l'opera omonima K87 rappresentata per la prima (e forse unica) volta sempre a Milano il 26 dicembre 1770.
Nel 1771 tradusse, in collaborazione di alcuni "Accademici trasformati" tra cui il Verri, una parte del poemetto La Colombiade pubblicato da Anne Marie Du Boccage.
Nel 1774 fece parte di una commissione istituita per proporre un piano di riforma delle scuole inferiori e dei libri di testo e intanto si dedicò alla composizione de Il Giorno e delle Odi.
Nel 1776 gli venne concessa una pensione annua dal papa Pio VI e fu nominato ordinario della Società patriottica istituita da Maria Teresa per l'incremento dell'agricoltura.

La composizione delle Odi 

Con il nome di Darisbo Elidonio entrò nel 1777 a far parte dell'Arcadia di Roma proseguendo intanto nella composizione delle odi: La salubrità dell'aria, L'educazione, L'evirazione, La vita rustica, L'innesto del vaiuolo (dette "Odi illuministe") La laurea (1777), Le nozze (1777), Brindisi (1778), La caduta, In morte del maestro Sacchini, Al consigliere barone De Marini (1783-1784), Il pericolo (1787), La magistratura (1788), Il dono (1789).
Nel 1791 il Parini venne nominato Soprintendente delle Scuole pubbliche di Brera e scrisse l'ode La gratitudine. Nello stesso anno vennero pubblicate ventidue delle sue odi con il titolo Odi dell'abate Parini già divolgate. Le ultime due parti del "Giorno", il Vespro e la Notte, pur risultando promesse in una lettera al Boldoni, saranno invece pubblicate postume. Le "odi illuministe" sono tra le più originali in quanto ricche di termini appartenenti al lessico specifico della scienza; talvolta riportano particolari anche scabrosi, con l'intento di educare i lettori su temi di scottante attualità, come l'inquinamento cittadino ("La salubrità dell'aria") o la prevenzione delle epidemie grazie ai progressi della scienza ("L'innesto del vaiuolo"). Per quanto siano argomenti tradizionalmente non poetabili, Parini, con un'abilità tutta settecentesca, riesce nell'intento di elevare gli argomenti più concreti a materia d'arte, cristallizzandoli in versi di inusitata accuratezza. In questo si riscontra l'influenza della poetica del sensismo.[2]

IL GIORNO

è un componimento scritto in endecasillabi sciolti, che mira a rappresentare in modo satirico, attraverso l'ironia , l'aristocrazia decaduta di quel tempo. Con esso inizia di fatto il tempo della letteratura civile italiana.Il poemetto era inizialmente diviso in tre parti: Mattino, Mezzogiorno e Sera. L'ultima sezione venne in seguito divisa in due parti incomplete: il Vespro e la Notte. Ecco come Parini suddivideva la giornata ideale del suo pupillo, "il giovin signore", appartenente alla nobiltà milanese.

Mattino

Il Giovin Signore si sveglia sul tardi, in quanto la sera prima è stato sommerso dai suoi onerosi impegni mondani. Una volta alzato deve scegliere tra il caffè (se tende ad ingrassare) o la cioccolata (se ha bisogno di digerire la cena della sera prima), poi verrà annoiato da delle visite importune, ad esempio un artigiano che richiede il compenso per un lavoro. Seguono le cosiddette visite gradite (per esempio il maestro di francese o di piano); dopodiché non resta che fare toeletta e darsi ad alcune letture (in senso mondano, tese a sfoggiare poi la propria "cultura"). Prima di uscire, viene vestito con abiti nuovi, si procura vari accessori tipici del gentiluomo settecentesco (quali coltello, tabacchiera, parrucca etc.), e sale in carrozza per recarsi dalla dama di cui è cavalier servente (secondo la pratica del cicisbeismo, di cui lo stesso Parini è forte critico).

Mezzogiorno, ribattezzato successivamente Meriggio. 

Il Giovin Signore, arrivato a casa della dama dove verrà servito il pranzo, incontra il marito della suddetta, che appare freddo ed annoiato. Finalmente è ora di pranzo, e i discorsi attorno al desco si susseguono, fino a che un commensale vegetariano (l'essere vegetariano era una moda discretamente diffusa tra gli aristocratici del tempo, cosa che a Parini sapeva di ipocrisia dato il loro quasi disprezzo per gli uomini di casta inferiore), che sta parlando in difesa degli animali, fa ricordare alla dama il giorno funesto in cui la sua cagnolina, la vergine cuccia, venne lanciata nella polvere da un cameriere a seguito di un morso ricevuto al piede (opportunamente punito per la sua sfrontatezza con il licenziamento, dopo anni di servizio, lasciando l'ex-dipendente e la sua famiglia nella povertà. In questo passo, l'ironia sorridente di Parini si trasforma in vero sarcasmo). Segue lo sfoggio della cultura da parte dei commensali, il caffè e i giochi.

Vespro 

Si apre con una descrizione del tramonto. Il Giovin Signore e la dama fanno visita agli amici e vanno in giro in carrozza, ma solo dopo che la donna ha congedato pateticamente la sua cagnetta e il Giovin Signore si è rassettato davanti allo specchio. Poi si recano da un amico ammalato (solo per lasciargli il biglietto da visita) e da una nobildonna che ha appena avuto una crisi di nervi, mentre discutono su una marea di pettegolezzi. A questo punto interviene il Giovin Signore che annuncia la nascita di un bambino, il figlio primogenito di una famiglia nobiliare.

Notte 

I due amanti prendono parte ad un ricevimento notturno, ed il narratore inizia la descrizione dei diversi personaggi della sala, in particolare degli "imbecilli", caratterizzati da sciocche manie. Poi si passa alla disposizione dei posti ai tavoli da gioco (che possono risvegliare vecchi amori o creare intrighi) e infine ai giochi veri e propri. Così si conclude la "dura" giornata del nobile italiano del 1700, che tornerà a casa a notte fonda per poi risvegliarsi il mattino dopo, sempre ad ora tarda.

Stile e significato dell'opera 

L'impronta ironica del poema mira innanzitutto ad una critica nei confronti della nobiltà settecentesca italiana, ambiente che lo stesso Parini aveva frequentato come precettore di famiglie aristocratiche, e che quindi conosceva molto bene.
Libertinismo, licenziosità, corruzione ed oziosità sono solo alcuni dei vizi che l'autore denuncia nella sua opera, incarnati perfettamente da questa classe sociale che, a giudizio del poeta, aveva perso quel vigore necessario a farsi guida del popolo, come invece era stata in passato. Parini infatti non si pone come nemico della casta nobiliare (come al contrario molti pensatori del suo tempo erano), ma si fa portavoce di una teoria secondo la quale l'aristocrazia vada rieducata al suo originario compito di utilità sociale, compito che giustifica appieno tutti i diritti ed i privilegi di cui gode. Da qui si può comprendere come la sua polemica antinobiliare fosse in linea con il programma riformatore di Maria Teresa d'Austria, che puntava ad un reinserimento dell'aristocrazia entro i ranghi produttivi della società.
A spiegare la critica pariniana, è emblematica la definizione del Giovin Signore data nel proemio del Vespro: colui "che da tutti servito a nullo serve"; giocando sull'ambivalenza del verbo "servire", che può anche significare "essere utile a". Partendo da questo punto, si può cogliere come il poeta abbia intenzionalmente costruito l'intera opera sul gioco dell'ambiguità: se per una lettura superficiale (e quindi del Giovin Signore stesso) il componimento può apparire un'esaltazione ed un'adesione agli atteggiamenti della classe nobiliare, un approfondimento fa invece emergere tutta la forza dell'ironia volta ad una vera e propria critica, nonché denuncia sociale. L'antifrasi è evidente anche nel ruolo di precettor d'amabil rito che l'autore intende assumere, incaricandosi d'insegnare, attraverso "Il Giorno", come riempire con momenti ed esperienze piacevoli la noia della giornata d'un Giovin Signore (ad accentuare il senso di monotonia oppressiva è la collocazione della narrazione sempre in ambienti chiusi o ristretti, come chiusa è la mentalità dei personaggi che li popolano). Ciò fa sì che quest'opera rientri nel genere della poesia didascalica, molto diffusa nell'epoca classica e nei momenti dell'Illuminismo.
Lo stile è senza dubbio di alto livello, tipico del poema epico antico e della lirica classica: i frequenti richiami classici ed il tono solenne non sono da intendere solo nella loro funzione di supporto all'ironia ed alla finalità critica del componimento (quali senza dubbio sono, ma non solo), ma anche come un gusto poetico estremamente colto, ricco e raffinato. La scelta stilistica del poeta di un linguaggio proprio dell'epica, di una grande attenzione ai particolari e di una minuziosità descrittiva, accompagnano quindi quell'intento di ambiguità nei confronti della materia trattata: assumendo i personaggi dell'opera come veri e propri eroi del poema, mettendo su di un piedistallo i loro vizi ed i loro modi di vivere, Parini riesce acutamente a sminuirli, provocando nel lettore sì un sorriso, ma un sorriso che sa di amaro. Si può tuttavia riscontrare nel poeta, oltre alla critica verso la nobiltà e la sua inutilità pratica, anche un senso di inconfessabile lussuria descrittiva nei confronti dello stile di vita e degli oggetti che fanno parte della sfera quotidiana del giovin signore. La lentezza e la monotonia della vita ripetitiva di quest'ultimo è data infatti anche dal lungo soffermarsi della narrazione su tolette, specchi, monili e quant'altro di invidiabile Parini notava nella vita signorile. Grazie all'influenza della corrente sensista, quella pariniana non è semplice descrizione, ma pura evocazione e percezione della materia che stimola i sensi del poeta. Tale celata ammirazione si traduce in una polemica più pacata nella seconda parte dell'opera rispetto alle prime due sezioni. Se nel Mattino e nel Mezzogiorno gli attacchi sarcastici erano violenti e senza accenno di condono di qualsivoglia pecca, il Vespro e la Notte risentono dell'equilibrio stilistico e compositivo, nonché di tono, che si andava affermando alla fine del XVIII secolo grazie alla nascente sensibilità neoclassica.

Gli ultimi anni e la morte 

Tra il 1793 e il 1796 ospite del suo amico marchese Febo D'Adda scrisse altre odi (Il messaggio, Alla Musa, la Musica) e quando i francesi di Bonaparte occuparono Milano, seppure con riluttanza, entrò a far parte della Municipalità per tre mesi, rappresentando, insieme a Pietro Verri, la tendenza più moderata. Presto egli smise di partecipare alle assemblee della Municipalità e poco dopo venne destituito dalla carica.Come appare nel frammento dell'ode A Delia, scritta tra il 1798 e il 1799, il poeta è avverso alla guerra e alla violenza e rifiuta la richiesta di una "ragguardevole donna" che voleva da lui un'esaltazione poetica delle vittorie francesi perché non poteva cantare "i tristi eroi" e "la terra lorda/ di gran sangue plebeo".Il poeta si spense nella sua abitazione di Brera il 15 agosto 1799, a pochi mesi di distanza dall'entrata degli austro-russi a Milano (Testo tratto dal sito dell'ITC Torrente).